di Rossella Muroni, Sociologa ed Ecologista
Il vertice mondiale sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite – nonostante le preoccupazioni e le polemiche su location e presenza massiccia delle lobbies dell’Oil & Gas – era nato sotto una buona stella: l’approvazione del Fondo “Loss & damage” (“Perdite e danni”) nella prima giornata di svolgimento della conferenza. Con il Fondo si offriranno aiuti ai Paesi poveri, e a quelli più ‘sensibili’ agli impatti del clima. Per dovere di cronaca va detto che ad alcuni era sembrato un coup de théâtre, uno scambio a favore di telecamera con quei Paesi che con gli Emirati Arabi Uniti hanno solidi contratti energetici in essere.
Certo, invece di un passo in avanti, avremmo voluto assistere ad una corsa veloce necessaria a serie politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. L’accordo finale non ha incluso un impegno esplicito a eliminare o ridurre i combustibili fossili, come richiesto da molti Paesi, gruppi della società civile e scienziati. Eppure il bicchiere è mezzo pieno perché è stato raggiunto un compromesso che invita i Paesi a contribuire agli sforzi globali per abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici “in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con la scienza” (nella speranza che la circonlocuzione non vada tradotta “con calma e lentezza”).
Insomma, meglio di quello che si vociferava negli ultimi giorni e chissà se non fosse una strategia diplomatica per abbassare le attese e farci tirare un respiro di sollievo di fronte al testo che poi è uscito. L’accordo sancisce per la prima volta una “transition away”, ovvero l’uscita dalle fonti fossili in modo da raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, con un’accelerazione dagli anni di qui al 2030, triplicando le rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica. L’indicazione preziosa, quindi, è di spingere sulle rinnovabili, triplicandone la capacità, e raddoppiandone l’efficienza energetica entro il 2030.
Purtroppo, contemporaneamente si fa riferimento alle nuove tecnologie che ci consentono di trasformarci il meno possibile, come quelle per la cattura e lo stoccaggio della CO2 e quelle per la produzione di idrogeno da gas. A questo quadro viene affiancato anche il nucleare (quello che verrà, quello che vorrebbe, quello che sarebbe) come ‘supplente’ dei fossili, per garantire la produzione energetica. Alla vigilia dell’accordo siglato, col circolare delle numerose bozze, erano molti ad aver lanciato l’allarme: per il think tank ECCO era “difficile che il testo accontentasse le richieste dei gruppi” quindi ci si attendeva “il rigetto da più parti”. Di fatto – continuava ECCO – “la bozza non sceglie e confonde”.
Non si discostava di molto la riflessione del Wwf Italia: “La nuova bozza di testo è deludente e molto meno ambiziosa di quelle precedenti”. I piccoli Stati insulari (a rischio per l’innalzamento del livello del mare) e le nazioni più esposte agli impatti dei cambiamenti climatici pensavano che il testo fosse stato “annacquato” di fronte al fatto che la decisione in ambito di Nazioni Unite deve arrivare per consenso; anche, e proprio, dove il presidente della Cop è anche a capo della principale azienda petrolifera del Paese.
Ora, di fronte al testo siglato, Legambiente ricorda all’Italia la strada da percorrere: “Il nostro Paese deve davvero fare la sua parte in linea con l’accelerazione che dovrà esserci a livello europeo e ascoltare la scienza. Dal Governo Meloni ci aspettiamo un deciso cambio di passo con la definizione di una road map nazionale per la decarbonizzazione che preveda in primis una revisione ambiziosa del PNIEC per ridurre almeno del 65% le emissioni entro il 2030, mentre la versione attuale ci consente solo il 40%. Solo investendo sulle rinnovabili l’Italia potrà colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65%, in coerenza con l’obiettivo di 1.5°C, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili”.
Rimangono quattro bug potenzialmente contagiosi e devastanti per la coerenza di una reale strategia climatica: il ricorso alle tecnologie d’abbattimento di cattura anidride carbonica e all’utilizzo di fonti fossili come combustibili di transizione per garantire la sicurezza energetica; il ritorno agli investimenti nucleare; oltreché l’assenza di un serio impegno per la finanza climatica indispensabile per aiutare i paesi più poveri e vulnerabili ad accelerare la fuoriuscita dalle fossili. E poi naturalmente la lentezza mascherata da ragionevolezza.
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