Di Rossella Muroni, Sociologa ed Ecologista
Com’è noto, l’Unione Europea si è dotata di una direttiva per l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio. Una direttiva che contribuirà a ridurre le emissioni di gas serra e la povertà energetica nell’Ue. Gli Stati membri avranno due anni per recepire le disposizioni della direttiva nella loro legislazione nazionale. La Commissione riesaminerà la direttiva entro il 2028, alla luce dell’esperienza acquisita e dei progressi compiuti durante la sua attuazione. Una direttiva di buon senso, insomma, in linea con gli obiettivi europei sull’abbattimento delle emissioni climalteranti e verso la neutralità climatica fissata al 2050.
Eppure, nel nostro Paese non si placano preoccupazioni e polemiche e forse vale la pena rivedere punto per punto, fuor di furore polemico, cosa prevede la direttiva stessa.
In Italia ci sono oltre 5,5 milioni di edifici da riqualificare per essere in linea con la direttiva Ue Case Green. Una cifra consistente che oltre a benefici economici potrebbe portare a più di 15mila nuovi posti di lavoro. L’Italia è caratterizzata da un parco immobiliare obsoleto che vede l’84,5% degli edifici italiani costruiti prima del 1990 (contro il 65,6% della Francia e il 75,3% della Germania), e da un basso tasso di rinnovamento edilizio, che in Italia è pari allo 0,85% all’anno (contro l’1,7% di Francia e Germania).
Da un punto di vista ambientale, secondo le stime di The European House-Ambrosetti, nel Paese l’efficientamento degli edifici può portare a una riduzione fino al 33% dei consumi energetici e fino al 5% di quelli idrici, abbattendo le emissioni di CO2 di circa il 20-24%. Da un punto di vista economico, se gli edifici più vetusti del parco immobiliare italiano fossero dotati di tecnologie smart, i cittadini risparmierebbero 17-19 miliardi di euro netti all’anno e verrebbero abilitati investimenti per oltre 330 miliardi di euro. In questo scenario potenziale e la filiera sarebbe in grado di abilitare la creazione di ulteriori 200mila posti di lavoro qualificati e specializzati.
Per questo più che di polemiche avremo bisogno, come Paese, di linee direttive precise. A partire dal promuovere una revisione del sistema di incentivi per valorizzare e includere tutte le componenti che rendono smart un edificio, con il digitale sia per gli edifici in fase di nuova costruzione sia per gli edifici in ristrutturazione. Occorrerebbe introdurre un “Libretto della casa” a valenza legale, per mappare in modo puntuale gli interventi, sia in termini di sicurezza che di valore dell’immobile. Infine, appare assolutamente fondamentale e non più rinviabile rafforzare e costruire le competenze necessarie alle filiere industriali delle tecnologie dell’edificio intelligente.
Significa avviare un lavoro sulle competenze mancanti e da “costruire”. È necessario rafforzare i sistemi di formazione già esistenti, potenziando i programmi formativi attraverso curricula dedicati al settore degli smart Building, incentivando la collaborazione tra aziende e Its (Istituti tecnici Superiori).
La filiera estesa degli smart building ha generato 174 miliardi di euro di fatturato e 38 miliardi di euro di valore aggiunto, dando occupazione a circa 515mila individui. Non solo. La filiera ha un significativo potenziale moltiplicativo nel sistema economico: ogni 100 euro investiti nella filiera estesa dell’edificio intelligente in Italia, se ne generano ulteriori 187 nel resto dell’economia, e per ogni 100 unità di lavoro dirette se ne attivano ulteriori 178 nel Paese.
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