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Energie Rinnovabili: bravi ma lenti

12 Giugno, 2023
di Rossella MuroniSociologa ed Ecologista

Il recente rapporto dell’Ispra spiega che siamo tra i migliori in Europa con un sistema energetico che ha un’elevata efficienza, e che per la quota di rinnovabili siamo al secondo posto dietro alla Svezia. Per la decarbonizzazione l’industria e l’agricoltura rappresentano un’eccellenza.

 

Eppure l’Italia è ancora troppo lenta sull’installazione delle energie rinnovabili, nonostante i potenziali +400.000 occupati. Centrando i target al 2030 potremo avere fino a 68 miliardi di investimenti. Bravi ma lenti insomma, come quando a scuola si sentenzia “è intelligente ma non si applica!“.

 

È quanto emerge dal Rapporto sulle energie rinnovabili 2023 (Rer) realizzato dall’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano (PoliMi).

 

Il ritmo con cui l’Italia sta installando nuovi impianti a fonte rinnovabile “è troppo lento rispetto a quanto servirebbe per raggiungere gli obiettivi di 125-150 Gw al 2030 e nel frattempo l’elettrificazione dei consumi corre, e porterà al raddoppio del fabbisogno elettrico (+126%) entro il 2050”. Colpa di un permitting farraginoso, spezzettato e reso ancor più complicato dall’effetto nimby, dall’opposizione delle sovrintendenze e dagli interessi di coloro che alle fonti fossili proprio non vogliono rinunciare.

 

Raggiungere i target 2030, secondo il rapporto, comporterebbe investimenti per le nuove installazioni tra i 43 e i 68 miliardi di euro, genererebbe tra i 310.000 e i 410.000 nuovi posti di lavoro e consentirebbe una riduzione delle emissioni di CO2 annuali da produzione di energia tra 39 e 51 milioni di tonnellate a partire dal 2030.

 

Il tempo che rimane fino al 2030 è poco e senza un’accelerazione ci troveremo con una copertura del fabbisogno elettrico da rinnovabili di solo il 34%, contro il 65% richiesto dal Fit-for-55 e i target ancora più alti di RepowerEu, che arrivano all’84% sulla generazione elettrica nazionale. Quello che manca sono soprattutto i grandi impianti, con un coefficiente di saturazione per le aste che negli ultimi 4 bandi non ha mai superato il 30%. Il ritardo con cui avanziamo ci ha impedito di sfruttare l’effetto calmierante delle Fer sul prezzo dell’elettricità salito alle stelle.

 

In Italia calano i consumi di energia e le emissioni di gas serra per unità di Pil. In particolare il consumo di energia si riduce del 16% dal 2005 al 2021, mentre le emissioni di gas serra scendono del 27,2%. Tradotto significa che “il sistema energetico italiano ha un’elevata efficienza energetica ed economica”. Questo è quello che emerge dagli indicatori energetici ed economici in relazione alle emissioni di gas a effetto serra e al consumo di energia secondo quanto riportato dal rapporto ‘Efficiency and decarbonization indicators in Italy and in the biggest European countries‘, messo a punto dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

 

Diminuiscono anche le emissioni di gas serra per unità di energia consumata in tutti i principali settori produttivi dal 2005: si va dal meno 6,6% per l’agricoltura al meno 14,1% per l’industria. Buone notizie anche per le fonti rinnovabili: l’Italia è seconda soltanto alla Svezia tra i principali Paesi Europei, in termini di quota di consumo interno lordo di energia da fonti rinnovabili; la quota nazionale di energia rinnovabile rispetto al consumo interno lordo è pari al 19,4% nel 2021 mentre la media Europea è pari a 17,7%. In crescita l’efficienza energetica ed economica e progressiva decarbonizzazione dell’economia nazionale dal 2005 al 2021.

 

In base al confronto tra gli indicatori nazionali e quelli dei principali Paesi – spiega l’Ispra – “il sistema energetico italiano ha un’elevata efficienza energetica ed economica: l’intensità energetica, espressa in termini di consumo interno lordo di energia per unità di Pil, è tra le più basse nei principali Paesi Europei: 91,5 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) contro 107,4 tep dei 27 Paesi dell’Unione europea nel 2021.

 

Le emissioni di gas serra nazionali per unità di consumo interno lordo di energia sono più elevate della media europea (2,72 tonnellate di CO2 equivalente contro i 2,45 dei Paesi Ue), grazie all’apporto di una non trascurabile quota di energia di origine nucleare ancora presente in Europa (di cui però conosciamo bene rischi, costi e problemi gestionali).

 

Facendo il rapporto tra l’andamento delle emissioni di gas serra e del Pil si ha così l’indicazione di uno dei sani principi cardine dello sviluppo sostenibile, e cioè il disaccoppiamento tra emissioni e economia, sebbene inferiore a quello registrato negli altri Paesi. Infatti – viene rilevato dall’Ispra – nel periodo compreso tra il 1995 e il 2021 la crescita delle emissioni è stata generalmente più lenta di quella dell’economia. A questo ha contribuito soprattutto la sostituzione dei combustibili a più alto contenuto di carbonio, in particolare nel settore della produzione di energia elettrica e nell’industria, insieme al contemporaneo incremento della quota di energie rinnovabili. Fondamentale è stata anche la crescente elettrificazione dei consumi finali nell’industria.

 

L’efficienza complessiva del sistema energetico è “al di sopra della media europea: nel 2021 l’energia disponibile per i consumi finali nazionali costituisce il 77,5% del consumo interno lordo di energia, contro il 72,7% della media dei Paesi Ue, mostrando quindi una elevata efficienza di trasformazione energetica”. Il consumo di energia finale e le emissioni di gas serra per unità di ricchezza prodotta dal settore industriale collocano l’Italia tra i Paesi con i valori più bassi dei 27 Stati europei (242 tonnellate di CO2 per miliardo di euro a fronte di una media Ue di 275 tonnellate di CO2).

 

Non si può dire però la stessa cosa per il settore terziario, dove si registrano emissioni per unità di valore aggiunto pari a 24 tonnellate di CO2 equivalente per miliardo di euro contro le 16 tonnellate della media Ue.

 

 Quindi – secondo quanto riportato dagli indicatori di decarbonizzazione e di intensità energetica per settore – l’industria e l’agricoltura rappresentano un’assoluta eccellenza in Europa; mentre per settori come il residenziale, i servizi e i trasporti bisogna recuperare un ritardo non più tollerabile.

 

Si tratta – sottolinea l’Ispra – di “risultati coerenti con la preoccupante distanza delle proiezioni italiane dall’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030, poiché gli obiettivi nazionali riguardano solo i settori disciplinati dal regolamento sulla condivisione degli sforzi di riduzione tra gli Stati europei”.

 

Insomma se il Paese non si doterà di un piano industriale e di un piano energia e clima davvero ambizioso, consapevole delle nostre potenzialità, e consapevole della velocità necessaria non riusciremo a centrare i target che abbiamo sottoscritto a livello europeo. E non ce lo meritiamo!

 


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